Le dita di Manila emanano gli ultimi caldi bagliori dorati mentre si allontanano lentamente dal petto di Shannen, che istante dopo istante riprende colore, come se la morte stessa defluisse lungo i suoi vasi sanguigni. Sotto la sua pelle ancora pallida brillano le ondate di quella luce magica, intrisa della forza di un potere perfino più antico di quello delle Veggenti: è quella magia che lo purifica, che impedisce al Vuoto di consumarlo. Langley lo osserva riprendere colore poco e poco e, stremato dalla tensione e sconfitto da un senso di sollievo più dirompente di una valanga, scoppia in lacrime, ripiegandosi sul suo petto.
Shannen schiude le palpebre e i suoi occhi mettono a fuoco la massa indomita dei suoi capelli ricci, e la figura eterea di Manila che si raddrizza, ripulendo con qualche debole pacca le ginocchia coperte di polvere. “Occhioni,” lo saluta Manila, evidentemente provata ma felice, “Bentornato fra noi. Meno male che ce l’hai fatta, Dentini, qui, stava per avere una crisi di nervi.”
Per tutta risposta, Langley piange più forte. Esalando una mezza risata esausta, Shannen gli accarezza i capelli in un gesto insolitamente tenero. “Mi sembra che la stia già avendo,” risponde. Poi, pensieroso, aggiunge, “Non ricordo niente.”
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